«Mustafà Mond sorrise. “Ecco, potete chiamarlo, se volete, un esperimento di rimbottigliamento. Cominciò nell’anno 473 del Nostro Ford. I Governatori fecero sgombrare l’isola di Cipro da tutti gli abitanti esistenti e la ricolonizzarono con una spedizione appositamente preparata di ventiduemila Alfa. Tutto l’equipaggiamento agricolo e industriale venne loro affidato ed essi furono lasciati liberi di dirigere i loro affari. Il risultato fu estremamente conforme alle previsioni tecniche. La terra non fu convenientemente lavorata; si ebbero scioperi in tutte le fabbriche; le leggi non erano rispettate, gli ordini venivano trasgrediti; tutti gli individui distaccati per attendere a qualche lavoro d’ordine inferiore, intrigavano di continuo per ottenere incarichi migliori, e tutti quelli di grado superiore controintrigavano per restare a ogni costo dove erano. In meno di sei anni divampò tra loro una guerra civile di prima classe. Quando diciannovemila dei ventiduemila furono tolti di mezzo, i superstiti unanimemente rivolsero una petizione ai Governatori Mondiali perchè riassumessero il controllo dell’isola. Ciò che essi fecero. E questa fu la fine della sola società d’Alfa che il mondo abbia mai visto».
Il Mondo Nuovo, Aldous Huxley, 1932.
“Ti prego facciamo che non sia un trattato sociologico di 80 pagine che poi alla gente s’ammoscia anche la voglia di vivere e legge solo le prime due righe che tanto valeva andare a dormire al posto di buttare tempo a scrivere roba che nessuno si cagherà mai”. Grazie, mio best fun evah, ma ok, ci provo.
1932-2022. Tra pochi giorni saranno passati novant’anni dalla pubblicazione del libro di Huxley.
Nell’epoca degli Iphone, dell’Icloud, dei selfie, di tik tok, delle centinaia di social network che più che social sono vetrine in cui si cerca di prevalere l’uno sull’altro nella lotta alle visualizzazioni. Negli anni dei corsi di laurea per influencer. Corso. Laurea. Influencer. Ma porca puttana. “Non puoi dirlo, ne abbiamo già parlato”. Sì, ok, va bene, ma cazzo. “Neanche quello”.
Dicevo, quasi un secolo dopo, quanto pesano quelle poche righe? In un momento storico in cui non l’essere umano, ma la singola egoistica esistenza è trascinata a pennello in una grandissima bolla d’illusione in cui ognuno di noi crede di essere il centro dell’universo quanto si rivelano profetiche quelle parole?
Partendo dal dover realizzare di non poter essere ognuno il centro dell’universo quante persone sono in grado di realizzare che così non si può andare avanti? Che ormai non siamo poi così distanti dal cannibalismo anche se solo virtuale? Quante riescono a capire che l’imposizione di un lockdown o il forte suggerire di aderire ad una campagna vaccinale nel pieno di una fottuta pandemia, sì lo so, non posso, ma sticazzi, non è un complotto per inserirti un microchip nel cervello che potrebbe anche non essere così micro visto lo spazio vuoto che c’hai da riempire tra le orecchie?
Che poi apro e chiudo una brevissima parentesi: ma chi te s’incula. Che cosa mai avrai di così tanto speciale da dover essere tracciato da tutti i governi mondiali? Defechi oro e urini petrolio? No, perché altrimenti non me lo spiego. Che poi, con tutti i tag che metti su ogni singola colazione o la pizza tonno e cipolle del sabato sera, con la geolocalizzazione del cellulare sempre attiva perché si sa mai che tu ti smarrisca e l’umanità senta l’urgente necessità di venirti a soccorrerti, con tutti i cookies che accetti ogni giorno, quanto pensi che ci voglia a capire dove vivi, che cosa fai dal lunedì al venerdì e nel we? Nulla, ci tieni così tanto tu a tenerci aggiornati. Prova a buttarti al di là delle colonne d’Ercole per cortesia, vediamo se rispunti dal Giappone.
“Niente, ho temuto il pippone sociologico e invece vedi? Con te non si sa mai, hai sbroccato alla terza riga e adesso cominciamo a contare i flames. Comunque una ragione ce l’hai: ho un amico di là, sai come vanno ste cose, ci conosciamo tutti e posso confermarti che c’è un girone dell’inferno per chi fa uso di autoscatti. Perché non sono selfie, sono foto che ti fai da solo, sfigato. Chiamiamo le cose col loro nome. Daje”.
K0