Un anno (quasi) da consulente

Prova a sostituire la parola “Problema” con la parola “Opportunità” dicevano, vedrai che tutto andrà meglio dicevano.

A giugno dell’anno scorso ho avuto l’opportunità, proviamoci, di intraprendere un nuovo lavoro. L’azienda, società di consulenza in ambito informatico, fornisce soprattutto profili tecnici, ma si sta pian piano aprendo al mondo del project management. Società benefit, accademia interna, contratti a tempo indeterminato, paga non eccelsa, ma comunque di buon livello, ambiente di lavoro molto giovane, il proprietario appassionato d’arte espone parte delle proprie opere in sede quindi più che un ufficio sembra di essere in un museo. Un miraggio.

Durante il primo lockdown oltre a provare, senza successo, ad entrare nel reparto HR della suddetta azienda, avevo deciso di investire qualcosa meno di un migliaio di euro per un mini master online per l’appunto in project management, volevo provare a rimettermi in gioco in un periodo difficile.

Tramite un apposito canale e un conoscente in azienda riesco a sostenere il primo colloquio. Con la stessa persona che mi aveva cassato per la posizione nelle risorse umane. Persona che d’ora in avanti chiameremo Paolina Paperina. Dopo qualche giorno ricevo LA telefonata: “Possiamo procedere con il secondo colloquio, quello con il capoprogetto”. Capoprogetto che d’ora in avanti chiameremo Sebastian il Granchio.

Arriva il giorno, come il post covid vuole il colloquio avviene via Microsoft Teams. In riunione (ricordiamoci che il nuovo governo suggerisce vivamente di non usare inglesismi) si presentano, oltre a Paolina Paperina, Sebastian il Granchio come preannunciato e il capo del capoprogetto (probabilmente il celebre personaggio la cui auto aveva un buco nella gomma). Solite formalità, mi viene detto che di lì a poco avrebbero organizzato, qualora l’esito di questo colloquio fosse stato positivo, un incontro, sempre virtuale, con il cliente e il suo capo. A questo punto mi viene “Ufficializzato” (in precedenza avevo solo ricevuto informazioni per vie traverse) che il cliente a cui verrò assegnato non è esattamente il più docile e amabile personaggio Disney. Raccolta tutta la mia demenza senile precoce dico che la cosa non mi spaventa e faccio capire che qualche stronzo nella vita l’ho conosciuto.

Passa qualche giorno e vengo contattato nuovamente: il capo del cliente è in ferie e, una volta rientrato, andrà in ferie il cliente stesso, forse non riusciamo a organizzare nulla prima di qualche settimana. Nel frattempo la data in cui la persona che sostituirò terminerà (per sua scelta) l’incarico si avvicina. Faccio presente che essendo al momento impiegato part-time sono disposto a iniziare l’affiancamento anche prima della partenza ufficiale del contratto e che nonostante l’offerta di lavoro prevedesse un tempo indeterminato sono disponibile a partire con un determinato (nel mio cervello bacato per portare acqua al mio mulino).

Ancora qualche giorno, altra telefonata: organizziamo un incontro con il capo del cliente e poi vediamo il da farsi. Sostengo il terzo colloquio, mi viene fatto presente dal referente dell’altra azienda che non ho esperienza e vista la conclamata euforia della persona a cui verrò assegnata, da ora Scar, faccio gentilmente notare che un profilo senior non sarebbe disposto a farsi prendere a male parole da un cliente.

Altro giro, altra corsa. Vengo contattato per un quarto colloquio. A questo giro le formazioni in campo prevedono: me medesimo, Sebastian il Granchio, il capo di Scar e nell’angolo a destra signori, finalmente anche Scar in persona, anzi in schermo vista la virtualità dell’evento.

Passa ancora qualche giorno e finalmente mi viene comunicato che sono stato scelto a discapito di un altro candidato (che non saprà mai quanto è stato fortunato). Festeggio con la mia compagna non sapendo che in realtà stiamo per brindare a una nuova versione del capodanno 2020.

In tutto questo la persona che sostituirò è arrivata a cinque giorni lavorativi dalla fine del contratto quindi il mio affiancamento si limita a circa una quarantina di ore. Certo, è un lavoro nuovo, nell’IT di una realtà bancaria. Certo, per me è arabo, ma è estate e per la prima volta sto facendo una vita d’ufficio, libero alle 18 e nei weekend, pc aziendale, nuovo ufficio, è tutto bellissimo. Un miraggio nel miraggio. Ingenuo.

Settembre porta con sé un leggero calo delle temperature e un ciclone d’ansia. Le persone rientrano dalle ferie, i ritmi si elevano, tutto deve essere fatto subito e non va mai bene nulla, il mio cellulare, per la cronaca non aziendale, si riempie di telefonate di grida. Iniziano i turni 7:00-19:00, straordinari non pagati ovviamente, inizio a perdermi, a non capire più chi sono (oltre a che lavoro faccio, ma mi dicono sia normale nel settore). Comincio a non dormire, l’ansia mi consuma, sento la terra franarmi sotto i piedi e con essa le mie certezze sgretolarsi. Per la prima volta decido di andare da uno psicologo, chissà mai possa aiutarmi.

Passa qualche settimana e chiedo un colloquio con l’HR. Forse per masochismo potendo scegliere a quale membro delle risorse umane a cui rivolgermi scelgo Paola Paperina. Ci ritagliamo mezz’ora in sede. Le faccio presente la mia situazione e che ho intrapreso un percorso con uno psicologo per provare a far fronte alla situazione, ma che non so quanto reggerò. “Continua ad andare dallo psicologo e fai mindfulness”.  Torno a casa senza parole che non siano bestemmie.

Qualcuno sveglia i Greenday ed è già fine settembre. Il tempo vola quando ti prendono a pesci in faccia e ti senti annegare in una palude di sabbia ed escrementi. Decido di rivolgermi nuovamente alla mia azienda dicendo che non riesco a star dietro a tutto e che questo incarico mi sta consumando. Chiedo la possibilità di poter cambiare cliente o tipologia di lavoro, mi va bene tutto. Voglio solo tornare a dormire e togliermi quella fitta all’intestino che l’ansia mi dona ogni giorno. Una settimana dopo il mio appello mi viene detto che non c’è la possibilità di venirmi incontro al momento, ma che verrò avvisato all’aprirsi di nuove posizioni. Attaccati al cazzo non si poteva dire.

Nel mese di ottobre chiamo il capoprogetto e dico che è il caso di cercare una nuova persona perché io comincerò a cercare un nuovo lavoro e non voglio che qualcuno venga buttato in questo inferno senza affiancamento come è successo a me.

A dicembre il mondo bancario si ricorda che l’anno sta finendo e quindi bisogna chiudere i progetti. Per fortuna è una sofferenza breve visto che da metà mese non c’è più nessuno. Nel mentre, cercando lavoro, trovo su un portale un annuncio come impiegato di segreteria per la mia stessa azienda. Giusto perché mi avrebbero avvisato qualora si fossero aperte delle posizioni. Mi candido a sfregio. Sostengo qualche colloquio, ma non vengo selezionato. Ci sta, mi dico. Se non fosse che poi vengo a sapere che il criterio della selezione è stato scegliere una ragazza in base al suo bell’aspetto in quanto primo contatto con possibili clienti. Gender equality ‘sta ceppa.

Mi trascino lungo tutto gennaio cominciando a valutare di non rinnovare il contratto in scadenza a maggio. Dai che ormai manca poco.

A febbraio arriva la svolta, finalmente decido di affiliarmi a un nuovo culto: lo sticazzismo. Fa tutto schifo? Sticazzi. La mail non ti piace? Sticazzi. I dipendenti dell’azienda per cui lavori non finiscono in tempo le attività? Sticazzi. Le persone non si presentano in call nonostante abbiano accettato l’invito? Esticazzi.

Con questa nuova filosofia di vita e un colpo in testa (altrimenti non si spiega) a Scar, che decide di diventare una persona ragionevole, torno a dormire un po’ di più e a vivere un po’ meglio.

Aprile, dolce dormire. Con la visione di Jerry Scotti che mi chiede “Sei sicuro? La accendiamo?” decido di comunicare alla mia azienda che non rinnoverò il contratto. Aggiungo, tra le motivazioni, che volendomi trasferire al mare e non potendo, causa lontananza, recarmi dal cliente una volta a settimana non avrei potuto continuare a onorare gli impegni presi. Sebastian è dispiaciuto. A cascata Sebastian lo comunica a Scar che a sua volta mi chiama per comunicarmi che se il problema è il dover venire in ufficio una volta a settimana a lui non interessa perché ormai posso lavorare da qualunque luogo abbia una connessione decente.

“Ci penso” gli dico. Significherebbe firmare un contratto full time, full remote, a tempo indeterminato e poter vivere al mare. Spiego alla mia azienda che viste le nuove condizioni da parte mia c’è la volontà di rinnovare il contratto.

Passano tre settimane e il capoprogetto, non le risorse umane, mi comunica che l’azienda ha deciso che non procederà con il rinnovo. Scar si infervora e chiama i referenti aziendali, ma nulla da fare.

In questo contesto agrodolce di libertà e futura mancanza di stipendio, faccio presente che sarà il caso di trovare in fretta il mio sostituto così da poterlo formare al meglio delle mie già pessime possibilità.

Dai primi di aprile ci riduciamo alla seconda metà di maggio. Non abbiamo salvato neanche il salvabile.

Ora sono libero, ma disoccupato. Continuo a non dormire, ma per il caldo, quindi c’è speranza di poterci riuscire verso ottobre.

Morale: non è stronzo chi appare stronzo, ma rischia seriamente di esserlo chi appare docile e accogliente. Un po’ come i chihuahua.

IL MONDO NUOVO

«Mustafà Mond sorrise. “Ecco, potete chiamarlo, se volete, un esperimento di rimbottigliamento. Cominciò nell’anno 473 del Nostro Ford. I Governatori fecero sgombrare l’isola di Cipro da tutti gli abitanti esistenti e la ricolonizzarono con una spedizione appositamente preparata di ventiduemila Alfa. Tutto l’equipaggiamento agricolo e industriale venne loro affidato ed essi furono lasciati liberi di dirigere i loro affari. Il risultato fu estremamente conforme alle previsioni tecniche. La terra non fu convenientemente lavorata; si ebbero scioperi in tutte le fabbriche; le leggi non erano rispettate, gli ordini venivano trasgrediti; tutti gli individui distaccati per attendere a qualche lavoro d’ordine inferiore, intrigavano di continuo per ottenere incarichi migliori, e tutti quelli di grado superiore controintrigavano per restare a ogni costo dove erano. In meno di sei anni divampò tra loro una guerra civile di prima classe. Quando diciannovemila dei ventiduemila furono tolti di mezzo, i superstiti unanimemente rivolsero una petizione ai Governatori Mondiali perchè riassumessero il controllo dell’isola. Ciò che essi fecero. E questa fu la fine della sola società d’Alfa che il mondo abbia mai visto».

Il Mondo Nuovo, Aldous Huxley, 1932.

“Ti prego facciamo che non sia un trattato sociologico di 80 pagine che poi alla gente s’ammoscia anche la voglia di vivere e legge solo le prime due righe che tanto valeva andare a dormire al posto di buttare tempo a scrivere roba che nessuno si cagherà mai”. Grazie, mio best fun evah, ma ok, ci provo.

1932-2022. Tra pochi giorni saranno passati novant’anni dalla pubblicazione del libro di Huxley.

Nell’epoca degli Iphone, dell’Icloud, dei selfie, di tik tok, delle centinaia di social network che più che social sono vetrine in cui si cerca di prevalere l’uno sull’altro nella lotta alle visualizzazioni. Negli anni dei corsi di laurea per influencer. Corso. Laurea. Influencer. Ma porca puttana. “Non puoi dirlo, ne abbiamo già parlato”. Sì, ok, va bene, ma cazzo. “Neanche quello”.

Dicevo, quasi un secolo dopo, quanto pesano quelle poche righe? In un momento storico in cui non l’essere umano, ma la singola egoistica esistenza è trascinata a pennello in una grandissima bolla d’illusione in cui ognuno di noi crede di essere il centro dell’universo quanto si rivelano profetiche quelle parole?

Partendo dal dover realizzare di non poter essere ognuno il centro dell’universo quante persone sono in grado di realizzare che così non si può andare avanti? Che ormai non siamo poi così distanti dal cannibalismo anche se solo virtuale? Quante riescono a capire che l’imposizione di un lockdown o il forte suggerire di aderire ad una campagna vaccinale nel pieno di una fottuta pandemia, sì lo so, non posso, ma sticazzi, non è un complotto per inserirti un microchip nel cervello che potrebbe anche non essere così micro visto lo spazio vuoto che c’hai da riempire tra le orecchie?

Che poi apro e chiudo una brevissima parentesi: ma chi te s’incula. Che cosa mai avrai di così tanto speciale da dover essere tracciato da tutti i governi mondiali? Defechi oro e urini petrolio? No, perché altrimenti non me lo spiego. Che poi, con tutti i tag che metti su ogni singola colazione o la pizza tonno e cipolle del sabato sera, con la geolocalizzazione del cellulare sempre attiva perché si sa mai che tu ti smarrisca e l’umanità senta l’urgente necessità di venirti a soccorrerti, con tutti i cookies che accetti ogni giorno, quanto pensi che ci voglia a capire dove vivi, che cosa fai dal lunedì al venerdì e nel we? Nulla, ci tieni così tanto tu a tenerci aggiornati. Prova a buttarti al di là delle colonne d’Ercole per cortesia, vediamo se rispunti dal Giappone.

“Niente, ho temuto il pippone sociologico e invece vedi? Con te non si sa mai, hai sbroccato alla terza riga e adesso cominciamo a contare i flames. Comunque una ragione ce l’hai: ho un amico di là, sai come vanno ste cose, ci conosciamo tutti e posso confermarti che c’è un girone dell’inferno per chi fa uso di autoscatti. Perché non sono selfie, sono foto che ti fai da solo, sfigato. Chiamiamo le cose col loro nome. Daje”.

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Silenzio

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Com’è dolce questo Silenzio. Non potrebbe esistere al mondo una melodia migliore ad accompagnare la cullata caduta nel pozzo nero del mio animo. Lo sento riempiere i vuoti delle mie orecchie e delle mie narici. Svuotare la pienezza delle mie certezze. Dolcemente amaro si insinua tra i miei pensieri inondandoli, sommergendoli, abissandoli. Scivola, accarezzando ogni ostacolo sul suo cammino, fino a colmare i miei polmoni, spodestando ogni inutile molecola d’ossigeno. Come una sottile pioggia invernale sulla pelle inumidisce il mio umore senza rivelare la sua presenza. Un gelo superficiale che raffredda senza congelare, ricordandomi quanto freddo ci sia fuori e quale tepore invece mi riscalda dall’interno. Quanto sia inestimabile la sensazione di contrasto che corre lungo l’epidermide. Chi ha detto che bisogna resistere alla propria oscurità era indubbiamente un folle. Non ho bisogno di tenere gli occhi aperti qui, non farebbe differenza. Come acqua di ruscello mi muovo agile tra i miei bui. Nessun rumore esiste fuori di me. Nessun contrasto né urto. Solo un naturale scorrere di essenze. Percepisco il fumare del mio fiato, il raffreddarsi ed il disperdersi delle sue molecole nell’aria che mi circonda. Al tatto tutto è perfetto. Ruvido, ma levigato. Umido, ma asciutto. Non ho coscienza di me in questo luogo, non ho percezioni all’infuori delle mie sensazioni in questo tempo. Qui sono tutto quello che non sono, ciò che fui e non vorrò essere, tutto ciò che non sono stato, ma che sarò. Il mio tutto ed il mio niente. La pace delle esplosioni. La resistenza nel lasciarsi andare. Il piombo leggiadro del mio pensare danza il suo soave walzer con la pesantezza delle mie piume. Non esiste luce, ma tutto è perfettamente delineato, non c’è oscurità che non sia ben definita. La sensazione di rifugio di un ambiente sconosciuto e sconfinato. Il tepore emanato da un fuoco spento ormai da tempo a causa di un acquazzone. La stabilità di un suolo che frana sotto i tuoi piedi. Il respiro profondo compiuto sul fondo di un oceano. Non potrebbe esistere una perfezione più imperfetta.

K0

La mia stanza

“Creati una stanza. Un luogo difficile da raggiungere. Un luogo per il quale solo tu conosci la strada. Un posto in cui nessuno possa avvicinarti. Uno spazio in cui imparare a muoverti in solitudine.”

La mia “Stanza” è nata come spesso avviene per molte cose da uno spunto. Da un punto d’origine. Da esso ha preso piano piano forma, un passo, immaginario, dopo l’altro. Giorno dopo giorno sono riuscito a scendere sempre un po’ di più, in profondità.

Vi racconto la mia “Stanza”. Le virgolette sono d’obbligo perché, come vedrete, più che angoli ci sono passi.

Cominciamo.

Il sole sta tramontando su uno scenario desertico. Qualche grande roccia su una distesa di sabbia e pochi, bassi, arbusti. Il cielo comincia a tingersi di note bluastre. Sto camminando, ho la percezione di me, ma non mi vedo. So dove sto andando, adesso conosco bene quella strada. In principio il senso di smarrimento e la gioia della scoperta si rincorrevano senza sosta dentro il mio essere. Adesso è solo pace, consapevolezza e determinazione. Non sono solo. Non più. Lo ero le prime volte, forse. Forse, semplicemente, non vedevo chi avevo attorno. Poi un po’ per volta, uno alla volta, si sono mostrati. Non sono sicuro di riuscire a percepire tutti coloro che mi sono vicini durante questo cammino, anzi sono abbastanza convinto del contrario. La prima a rivelarsi è stata la Leonessa. Cammina placida al mio fianco, raramente volge il suo sguardo su di me. Non ha bisogno di vedermi, sa che sono lì. Il secondo personaggio è un uomo dal fisico longilineo e la testa da Ibis. Nonostante cammini sempre in testa al gruppo, nonostante sia sempre stato davanti ai miei occhi, non ero mai riuscito a vederlo prima di quel giorno. Ad essi si aggiunge una Donna. Giovane, nel fiore degli anni, un’acconciatura decorata, ma semplice allo stesso momento. Infine un Coccodrillo chiude il gruppo. Ci muoviamo in silenzio, nessuno emette altri rumori al di fuori di quelli legati ai propri passi. Insieme, all’unisono, ci muoviamo verso la nostra meta. Il passo è lento, quello di una camminata in cui la testa è immersa in un pensiero impegnativo.

Non ci vuole molto. Un ingresso rettangolare si scorge all’improvviso a pochi passi da noi. Come se avesse deciso di rivelarsi ai nostri occhi solo in quell’istante. Ognuno di noi sa cosa fare. La giovane Donna sgretola la sua essenza in particelle finissime e in una dolce nube si dirige verso il cielo ormai buio dando vita alla volta stellata che ospiterà il nostro prossimo cammino. La leonessa, pigramente, si sdraia su un fianco proprio davanti all’uscio. Si preoccuperà che nessuno mai possa entrare. Il resto della compagnia procede oltre la soglia buia.

Appena dentro l’Ibis si ferma e mi porge una fiaccola. Il suo cammino finisce qui. In quell’esatto momento, mentre la fiaccola entra a far parte di me, dal mio corpo salta fuori un’ombra. L’ospite nascosto è sempre stato parte della nostra comitiva e seppur celato alla vista, tutti siamo sempre stati coscienti della sua presenza. L’oscurità si compone davanti ai miei piedi in uno Sciacallo e mi incita a seguirlo. Dietro di noi, il Coccodrillo. Il percorso è in discesa e il buio permea l’ambiente circostante. Ricorda l’interno di una struttura antica. La prima torcia affissa sulla parete smette presto di illuminare il nostro cammino, ma non appena diviene troppo oscuro la fiaccola che l’Ibis ha riposto in me accende la torcia successiva. Tutto sembra essere disposto per arrivare al limite senza superarlo mai. Superiamo alcune stanze, non riesco a vedere molto oltre gli usci, ma non serve: non è lì che stiamo andando.

Alla fine del tragitto c’è una stanza di medie dimensioni. L’unica illuminata fino ad ora, comincio a scorgerne la luce oltre la curvatura del corridoio. Lo Sciacallo entra per primo e si sdraia immediatamente a destra dell’ingresso. Mentre faccio il primo passo all’interno del nuovo ambiente il mio sguardo è rivolto al Coccodrillo dietro di me. Pare non voglia continuare. Il suo cammino è ultimato. Rimarrà a vegliare su questo nuovo seppur ben conosciuto uscio.

La prima volta che alzai lo sguardo rimasi impietrito. Un enorme Cobra nero occupava buona parte del volume del locale. Mi fissava, mi sentivo in pericolo, ma nonostante ciò nessuno dei miei guardiani muoveva un muscolo, aspettavano.  Ai quattro angoli della stanza si scorgono quattro grosse candele cilindriche. Con le spalle rivolte al muro e ponderando attentamente ogni mio lento movimento mi accingo ad accenderle una per una. Come se quella luce aggiuntiva possa rivelarmi qualcosa di più. Qualcosa che possa risolvere lo stallo in cui mi trovo e possa aiutarmi ad andare oltre. Il miracolo non avviene. Mentre mi convinco che l’unico modo per affrontare la situazione è intraprendere un combattimento dall’esito probabilmente scontato con l’enorme serpente, i suoi occhi sembrano comunicarmi qualcosa di diverso. Il terrore, l’adrenalina, si rimodellano al mio interno in fiducia e consapevolezza. Abbasso i pugni e mi avvicino. Il Cobra allarga le sue spire e mi fa posto prima di ristringerle dolcemente attorno al mio corpo che per la prima volta riesco a vedere interamente, come se qualcuno mi osservasse. Sono seduto, le gambe incrociate, gli avambracci appoggiati sulle cosce. Riconosco la posizione, è quella dello scriba.

A quel punto una delle pareti rivela una porta segreta. Si apre autonomamente. Dal nuovo ambiente giunge una luce bianca molto intensa, quasi accecante. Abbandono la mia posizione incuriosito e conscio di poter procedere. I miei occhi si abituano presto alla nuova luce e la nuova stanza rivela un individuo sospeso a mezz’aria nella stessa posizione che fino a poco prima assumevo io stesso. Non ci sono passaggi. Non vedo altre porte. Tuttavia dentro di me ho la certezza di non essere arrivato. Devo solo capire come andare avanti. Come superare questo nuovo blocco. È solo allora che lo noto: lui è bianco ed io nero. Nonostante la posizione sia la medesima, la nostra natura apparente ci differenzia, quasi fossimo il negativo l’uno dell’altro. Salgo a mezz’aria e di nuovo assumo la posa. In quell’istante le due entità si fondono come si stessero aspettando vicendevolmente da tempo immemore e tutto esplode in una bianca luce abbagliante.

K0

Che dire.

Che dire. Di sicuro siamo andati avanti. Tornare indietro questa volta proprio non si poteva. Probabilmente non si poteva neanche fare peggio. Eppure. Sì, lo so. La mia punteggiatura non ti piace. Non avresti messo né quel punto né quella virgola. Non ti è mai piaciuta. Dicevamo? Ah, sì, eppure. Eppure, mi sembra di aver perso qualcosa. Perso, non nel senso di smarrito, intendiamoci. A ritrovare tutto quello che smarrisco ogni giorno ci ho perso la speranza. Vedi? Ho perso anche quella. Intendo perso nel senso di mancato. Anche mancato è brutto. Si avvicina, ma non è quello. Sembra quasi una freccia che non centra il bersaglio. Sì, ok, veloce è stato veloce, ma non mi è parsa una freccia. Lasciamo Cupido e gli arcieri ai propri posti di combattimento. In realtà dubito che possano uscire di casa vista la pandemia. Ad ogni modo. Sfiorato? Si avvicina, ma ancora non ci siamo. Scivolato? Può darsi. Riesci ancora a seguire i miei pensieri? Concentrazione. Scivolato in parte rende l’idea. Due realtà che si toccano e si conoscono, ma che poi scivolano in direzioni parallele, ma lontane. Intoccabili e invisibili l’una all’altra. Sai cosa sono parallele? Le celle. Almeno così le immagino. Tante piccole stanzine grigie con una parete di sbarre metalliche, una di fianco all’altra. Geometriche in un luogo a sua volta geometrico. Inspira, lentamente. Espira. La senti? Ah, che magnifica prigione la normalità. Sai cosa può fare una prigione? Contenere. E sai cosa non può fare? Contenere. Degli stadi in cui si presenta la materia fisica può trattenerne solo uno: il solido.

Uno su tre (su quattro se includiamo il plasma), non mi pare un grande risultato. Anzi, forse anche in questo caso non si poteva far di peggio. Come stai? Vedo i tuoi post di tanto in tanto. Non li cerco, intendiamoci. Compaiono sullo schermo annoiato del mio telefono. Eccesso di tempo libero immagino. Ad ogni modo. Sei felice come sembra? Sembri felice? Ti basta davvero? Perso-mancato-sfiorato-scivolato. Dicevo, non credo sia sbagliato, però. Maledetto però. Ti porta sempre lì lì per saltare e poi ti abbandona spaesato a te stesso. Come sono arrivato qui? Che stavo facendo? Però, forse, in un universo parallelo. Signor regista non possiamo vedere anche le scene tagliate? Il finale alternativo? Uno spoiler almeno?

Io? Sto bene. Bè a volte mi viene da starnutire, ma riesco a trattenerlo, la maggior parte delle volte almeno. Le altre semplicemente vengo additato quasi fossi un’arma batteriologica. Ci sta. Sempre meglio del rogo. Sto divagando dici? Ah. Non lo so, direi di sì. Sono successe tante cose e onestamente non ho ancora trovato il dizionario con la definizione di felicità più giusta per me. Aspetto le prossime pubblicazioni in edicola. Ma non mi fregano. Compro solo le uscite fino alla F e poi mi fermo. Non posso dilapidare i miei risparmi in gioia, imbarazzo, malinconia, nostalgia, pudore, tristezza e vergogna. Zizzania, non dimentichiamo zizzania. Scendo alla felicità. Se la trovo. Probabilmente l’ho appoggiata da qualche parte. Ci vorrebbe un’app. “Trova la tua felicità” per ios e android. Gli altri s’inculassero. “Scusi, ma il mio Huawei supporta l’app per la felicità?” “No, signora, ma chieda al mio collega le indicazioni per la cesta delle corde per impiccarsi, quelle funzionano per tutti”.

In questo momento o stai ridendo o sei terribilmente incazzata. Le mezze misure mai. Non sarai mica brava solo tu. Forse fingi indifferenza. Sì, ti ci vedo con la tua area naturalmente snob e superiore alla media. Sì, lo so. Non ho risposto. Pace.

K0

Sogno I

dal web.

Non vedo nulla. Ho gli occhi chiusi. Provo ad aprirli, ma mi fanno male.

C’è troppa luce.

Un tramonto di un inizio settembre mi rende quasi cieco. Un po’ per volta mi sforzo di abituarmi a tutta quella luce arancione. Ho la sensazione di essere appena nato. Dopo qualche attimo interminabile comincio ad intravedere delle sagome nere. Sono persone. Sembrano non patire tutta quella luce. Stanno in piedi di fronte a me e interagiscono tra loro. Le figure si fanno pian piano più nitide. Riconosco alcune voci. La mamma e il papà di Fabio e Riccardo. Da qualche parte ci saranno anche loro, penso. Non li vedo e non sento le loro voci, ma so che ci sono. Saranno semplicemente molto stanchi, come me. Abbiamo giocato insieme tutto il pomeriggio. Sento la voce di mia madre e la presenza della mia sorellina. Gli adulti chiaccherano tra loro, mentre alcuni estranei si fanno strada attraverso il gruppo per raggiungere le proprie macchine. Comincia a fare fresco. Non ho potuto fare il bagno oggi, faceva troppo freddo e c’era troppo corrente. Non che sia mai stato semplice bagnarsi in quel fiume. Ho sempre fatto fatica a non farmi trascinare via dalla corrente, ma l’acqua gelida mi piace molto.

E’ stata una bella giornata, sto bene. Giocare vicino a quell’albero è stato bellissimo.

Il mio gioco!

L’ho dimenticato, come ho potuto. L’ho pure costruito io! “Mamma ho dimenticato il gioco! Devo andare a prenderlo!”. Mi sente, ma non mi da retta. E’ troppo presa nella conversazione con la mamma dei miei amici. “Il gioco! L’ho lasciato all’albero!”. Niente, mi fa segno di aspettare e di non interrompere.

Non posso lasciarlo lì. E’ mio. L’ho fatto io!

Nessuno mi da retta. Devo andare a riprenderlo. Mi volto e comincio a correre nella direzione da cui siamo venuti. Non posso sbagliare: c’è solo una lunga strada dritta che corre lungo il fianco del fiume. Devo fare in fretta, non si sono accorti che me ne sono andato. C’è il rischio che se ne vadano senza di me! Corro a più non posso. Sento i piccoli sassi smuoversi sotto i miei piedi. L’aria fredda sulla pelle delle mie braccia sudate. E’ quasi buio. Devo fare in fretta.

Mi brucia il torace. Quanto manca? Ho superato il punto? Impossibile, avrei visto l’albero con le sue radici scoperte. La strada sembrava più corta. E’ sempre più buio. Il sole tramonta velocemente e gli alberi che costeggiano il fiume coprono buona parte della luce.

Cosa sto andando a riprendere? Il mio gioco, sì, ma com’era fatto? Ricordo di averlo fatto io, ma l’ansia e il fiatone sembrano bloccarmi la memoria, non mi viene in mente altro per quanto mi sforzi di ricordare. Pazienza, appena lo vedrò mi ricorderò. E’ il mio gioco. L’ho fatto io. Mi rassicuro.

 L’albero! Le radici! Ci siamo!

Riconosco il posto. Una volta raggiunto il punto mi piego appoggiando le mani sulle mie ginocchia. Sono sfinito. Sto morendo di caldo, ma l’aria gelida punge la mia pelle madida. Cosa sto cercando? Com’era fatto? Mi lasceranno qui. Nessuno sa che sono tornato indietro. Non si accorgeranno di me. Devo fare in fretta. Cos’era? Cosa avevo usato per costruirlo? Vedo l’erba appiattita dove poco prima giacevano i nostri teli, cerco tra le radici del grande albero, sul ciglio della strada sterrata, vicino al piccolo strapiombo che si affaccia sul fiume. Niente, niente, niente. Mi lasceranno qui. Lo so. Devo muovermi. Ma non lo trovo! Non so cosa cercare! Ho fatto così tanta strada e la stessa mi rimane per tornare indietro! Per cosa?! Non ricordo. Non ricordo. Non ricordo. Eppure l’ho tenuto in mano per ore. Ma come è possibile?! Non posso. Non posso. Non posso fermarmi di più. Mi lasceranno qui! Devo tornare indietro. Sono combattuto, ma non ho scelta. E’ ancora più buio. Mi staranno cercando. Saranno preoccupati. Mi sgrideranno! Che figura che farò davanti ai miei amici. Devo fare in fretta. Sento la maglietta bagnata di sudore incollarsi al mio torace prima di lanciarsi verso il mio giubbotto gillet con la zip allacciata fino al collo. Fa freddo e non posso slacciarlo. Così mi hanno insegnato. Ho caldissimo, ma non posso fermarmi. Cerco di evitare i sassi più grossi per evitare di farmi male alle caviglie, ma non sempre ci riesco. Non ho più fiato. Non ce la faccio. Andranno via senza di me. E’ passato un sacco di tempo. Non li troverò più. Come il mio gioco. Non avrò né la mia famiglia né il mio gioco. Rimarrò qui al buio da solo fino a chissà quando. Forse una volta a casa si accorgeranno della mia assenza. Sì, di sicuro quando dovremo scendere dalla macchina e io non ci sarò torneranno a prendermi. E se non se ne accorgessero? Devo fare in fretta. Mi lasceranno qui. La strada sembra non finire mai. Di sicuro questa volta è ancora più lunga. Non farò mai in tempo.

Comincio a scorgere le prime macchine. Sono sollevato, ma anche preoccupato. Tra poco scoprirò se sono andati via senza di me. Se sono ancora lì saranno preoccupatissimi. Mia madre mi sgriderà davanti a Fabio. Che figuraccia. Speriamo non lo racconti a nessuno. Vorrei sotterrarmi.

Sono arrivato. Sento il mio torace muoversi tantissimo, la maglietta ormai è totalmente appiccicata alla mia pelle. Ho il fiatone. Sono ancora lì! Lì vedo! Mi avvicino correndo. Sono ancora in tempo! Parlano tra loro, ci sono tutti. Nessuno è preoccupato e nessuno mi sta cercando. Sono contento! Nessuno mi sgriderà! Che fortuna. Pazienza per il mio gioco. Appena tornerò a casa con la mia famiglia me ne costruirò un altro più bello e che non lascerò in giro. Promesso. Sono contento.

Il torace rallenta, il fiatone si placa ed il mio sorriso si spegne. Non se ne sono accorti! Nessuno si è accorto che ero andato via! Avrei potuto perdermi e nessuno se ne sarebbe reso conto. Qualcosa di invisibile mi fascia il cuore e lo stringe. Non ero mai stato così triste. Non importo a nessuno. Nessuno si è accorto che ero andato via. Avrei potuto perdermi e non sarebbe importato a nessuno. Sarebbero andati via senza di me, dimenticandosi di me come io ho fatto con il mio gioco. A casa avrebbero costruito un bambino più bello e di cui sarebbe importato di più, che non avrebbero lasciato in giro, dimenticandolo, come se non fosse mai esistito. Adesso ho solo freddo. Chiudo gli occhi. Ma questa volta non è colpa della luce.

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Come prendere una decisione. VM14

https://www.memescan.it/meme/22795

Come prendere una decisione, importante o meno che sia? In rete troverete di certo mille mila e più “Guide”. Adesso una in più. Buona lettura.

PARTE PRIMA – AVVENTURIERI ED INVENTORI:

Nel prendere in considerazione la tua idea, qualunque scelleratezza tu abbia in mente, tieni sempre a mente questi tre personaggi storici e le loro avventure, o meglio, disavventure.

  • GALILEO GALILEI: il celeberrimo astronomo che con una semplice, ma non da tutti, ipotesi ci ha rivoluzionato la scienza delle stelle (Paolo Fox ancora doveva nascere): non è il Sole che ruota intorno alla Terra, bensì il contrario. Bravo, bravissimo. Questo è quello per cui viene ricordato, ad alcuni però manca una piccolissima parte: il rogo. Benché Galileo riuscisse a dimostrare con i mezzi rudimentali dell’epoca la realtà su cui il suo ragionamento si fondava, fu comunque costretto a rimangiarsi tutto onde evitare di finire su un barbecue decisamente non vegano in quanto il suo ragionare non era esattamente conforme a quello della chiesa cattolica dell’epoca. Morale? Per quanto tu possa avere ragione, per quanto tu possa provare ciò che dici, per quanto tu possa avercelo più grosso degli altri, c’è il serio rischio che tu perda contro una mandria di pisellini e che la tua unica consolazione sia quella di sapere che il tuo dito medio si trova esposto in un museo. Profilo basso;
  • CRISTOFORO COLOMBO: qualora la tua idea sia quella di partire e lasciare tutto perché chi ti sta attorno non capisce che vive in un posto di merda in cui non funziona nulla e c’è troppa burocrazia, ricordati sempre di Cristoforo. Sarà ammissibile scrivere “Merda” o mi banneranno? X WORDPRESS: è una licenza poetica, serve a rendere l’atmosfera. Un bel giorno si svegliò dando degli imbecilli a tutti e promettendo che avrebbe trovato un’altra via per raggiungere le Indie. Promise mare e monti (probabilmente letteralmente),  riuscì a trovare degli investitori e partì. Rischiò che il suo equipaggio gli separasse la testa dal corpo e raggiunse le Americhe, allora inesplorate. In realtà c’era già stato chiunque prima di lui, ma riuscì a rigirare bene la frittata. Per colpa sua gli Indiani si chiamano così seppur siano i veri americani. Per colpa sua oggi abbiamo gli Stati Uniti d’America e tutto ciò che questo comporta. Morale: se ti accorgi di aver fatto la cagata almeno cerca di girarla a tuo favore. NB: sono già stati scoperti tutti i continenti, ma non tutti i pianeti, forse. Buona fortuna;
  • THOMAS EDISON: l’inventore della lampadina. Edison è il motivo per cui non dovresti mai fare nulla che sia giustificato dalla mera gloria personale. Questo povero stronzo (X WORDPRESS, vedi sopra), ha posto in essere dieci miliardi di invenzioni che hanno rivoluzionato il mondo facendo avanzare il progresso tecnologico dell’epoca di anni luce, humour da pub di basso livello, ma per cosa viene ricordato? Ha inventato la lampadina. LA LAMPADINA. Morale: per il tuo benessere personale non fare nulla per la vanagloria, tanto anche qualora correggessi l’inclinazione del pianeta ti direbbero che si stava meglio prima e ti toccherebbe risistemare tutto. NB probabilmente colto da qualche isteria presagendo come sarebbe finita la sua reputazione ideò anche la sedia elettrica. Probabilmente sperando che con essa avrebbe ucciso buona parte degli appartenenti alla sua specie. Come biasimarlo.

PARTE SECONDA – LA RAZIONALITA’:

Ammesso che tu non abbia già deciso di pancia imbarcandoti su qualche nave alla ricerca di qualche pianeta in cui ancora non abbiano la lampadina circumnavigando il sole, la razionalità busserà certamente alla tua porta. Si spera, altrimenti prego, si accomodi, il burrone è da quella parte la stanno aspettando sul fondo, buon viaggio.

  • ANALISI SWOT: ci sono centinaia e centinaia di grafici e tabelle che ti possono tornare utili nel tentare di affrontare razionalmente il prendere una decisione. Personalmente faccio molto riferimento al modello SWOT. No, idiota, quella è la SWAT, tendo a non coinvolgere forze dell’ordine nel prendere le mie decisioni. Figuriamoci quelle americane. Dicevamo: undefinedQuesto modello ti permette di inserire, prima, e visualizzare, poi, tutti i punti di forza, le debolezze, le opportunità e i rischi del prendere una decisione. Cerca di essere il più onesto possibile nel compilarlo. Non che a me freghi qualcosa, ma avrebbe poco senso farlo ad minchiam. Punto di forza: è colorato!!!!!!
  • IL COLLOQUIO CON UN FINTO AMICO: non so tu, ma io non affiderei neanche una nocciolina ai miei amici, quindi evito di dargli in mano la mia vita. Però il concetto alla base funziona. Prenditi qualche ora o il tempo che ritieni opportuno e siediti a fare un po’ di schizofrenia (non dirlo al tuo psicologo o almeno non dirgli che te l’ho detto io). Prendi un foglio ed una penna, siediti ad un tavolo ed immagina di parlare con un tuo amico, uno che ti conosce alla perfezione. Chiedigli consiglio, chiedigli cosa ne pensa della tua idea e quali siano i perché della tua idea/scelta e perché dovresti imbarcarti in questa avventura. Cerca di essere positivo (per favore non al COVID-19). Segna i punti salienti sul foglio;
  • L’AVVOCATO DEL DIAVOLO: il tuo amico è uno stronzo, sì, quello di prima che non esiste. Rovescia la situazione e prova a convincerti del contrario, pensa che tutto possa andare male, convinciti che l’idea che ti ritrovi in testa sia una malsana fantasia di uno psicopatico, probabilmente di un futuro serial killer (già parli da solo e hai gli amici immaginari, sei ad un buon punto). Datti dello scemo, fa bene ogni tanto, spiega a te stesso perché la tua idea non funzionerà mai e quanto stai bene dove sei. Come prima, segna tutto su un foglio. PRO TIP: il foglio ha due facciate, salva un albero, gira il foglio.

PARTE TERZA – IL DIVINO E IL CASO

Qui viene il bello. Sia che tu creda che il tuo percorso sia già stato scritto, sia che tu creda di avere il pieno controllo delle tue azioni, ricorda sempre una cosa: spesso e volentieri gli imbecilli si incontrano a metà strada sulla via del fallimento. Quindi:

  • LANCIA UNA MONETINA: ovviamente prima assegna le sue facce ad altrettante alternative. Se le alternative sono più di due puoi usare un dado. Online trovi kit di dadi con innumerevoli facce, buono shopping. Dicevamo, lancia il tuo oggetto, ma fallo bene, lancialo molto in alto o molto lontano. E’ importante. Ora vai a prenderlo. Il dado sarà finito sotto il divano e la monetina invece ti sarà sicuramente caduta e sarà finita a rotolare per tutta la casa, ma è un bene. Mentre vai a recuperarlo, tra un’imprecazione e l’altra, ascoltati stai sicuramente sperando in un esito. Quella è la tua scelta. Puoi lasciare il dado sotto al divano e la monetina in bocca a tuo figlio. Non aggiungere altri sofismi alla tua speranza. Se credi in Dio e credi che l’esito sia il suo “Consiglio” sappi che potrebbe anche darti quel risultato per metterti alla prova, quindi per una volta il riscontro empirico non serve a nulla, ma hey, credi in Dio, dunque non è la prima volta. Se invece sei un sostenitore del caso come credi che l’esito di un dado possa cambiare la tua vita? Dai, smettila.

CONCLUDENDO:

Che questo post ti sia servito o meno a prendere la tua decisione ricorda sempre quattro cose:

  1. Non mi hai pagato per darti consiglio, quindi se queste 1000+ parole non sono servite a un tubo, pazienza, sappi che io vivrò bene lo stesso;
  2. La più grande passeggiata di sempre è iniziata con un solo passo. Anche quella sulla Luna. Cerca solo di mettere giù dal letto il piede giusto ogni mattina;
  3. La paura è la migliore bussola di sempre. Dove hai paura di andare, vai. Nella società odierna lo spirito di sopravvivenza (lo so che lo hai usato come giustificazione per non aver seguito una tua paura) è diventato una baggianata. Cosa vuoi che ne sappia lui poverino. E’ stato creato per non farti finire in un burrone, non per farti o non farti prendere un biglietto aereo. Ovunque ci sia paura c’è crescita. Anche se andrà tutto a rotoli almeno avrai portato a casa qualcosa.
  4. “Chi crede di farcela e chi crede di non farcela di solito finiscono entrambi per aver ragione”. Lo ha detto Confucio, non il mio panettiere. Puoi fidarti.

Intanto, buona fortuna.

K0

Avremo fatto la scelta giusta?

dal web.

Avremo fatto la scelta giusta scegliendo di investire in soldati ed aerei anziché in dottori ed ospedali? A cosa ci sono serviti e a cosa ci servono ogni giorno milioni di euro a forma di caccia bombardieri e discendenti di baionette se non a divulgare la religione della distruzione e della morte a popolazioni ignare ed innocenti? Non sarebbero serviti forse a più nobile ed utile scopo medici e macchine salva-vita anziché strumenti di omicidio? Immaginate di aver inviato, anziché carrarmati e soldati, infermieri e medicine nei Paesi che ora sono solo macerie e desolazione. Come sarebbe oggi il mondo?

Avremo fatto la scelta giusta scegliendo di rintanarci come sardine in città ogni giorno più grandi e meno vivibili alternando zone di densità di popolazione a dir poco elevata e zone pressoché disabitate? Non sarebbe stato forse meglio distribuirci in maniera omogenea in centri abitati medio-piccoli lungo tutto il territorio di questo nostro bel Paese? Sprovvisti, sì, di supermercati e grattaceli, ma addobbati da piccole botteghe e grandi viste su ciò che di più prezioso c’è al mondo: il mondo stesso. Preferiamo davvero il nostro odiato cemento? Tanto caldo d’estate quando freddo d’inverno.

Avremo fatto la scelta giusta scegliendo una mentalità di consumismo anziché di risparmio? Cambiare un telefono all’anno in momenti come questi a cosa ci è servito? Non sarebbe stato forse meglio avere qualche soldino in più per aiutarci a vicenda e chissà magari sostenere ulteriormente la ricerca medica?

Avremo fatto la scelta giusta a concentrarci sull’aspetto economico delle cose piuttosto che sulla logica e sulla prevenzione? Avremo fatto davvero la scelta giusta a scegliere di importare pressoché ogni cosa perché nel breve periodo conviene di più piuttosto che valorizzare, magari con un po’ di fatica, la produzione interna? Abbiamo davvero bisogno di ritrovarci senza neanche un’impresa che produce dispositivi medici all’interno del nostro territorio per porci il problema?

Avremo fatto la scelta giusta a scegliere la comodità del petrolio e dei gas al minor impatto ambientale delle energie rinnovabili? Facciamo davvero la scelta migliore a comprare ogni giorno energia elettrica prodotta da Paesi che utilizzano il nucleare piuttosto che sfruttare le innumerevoli risorse che questo mondo ha da offrirci?

Avremo fatto la scelta giusta, ci chiederemo, ad aver scelto la carriera e la vetrina dei social network piuttosto che un vivere più vicino alla natura ed agli affetti personali? Avremo fatto la scelta giusta preferendo la soddisfazione del presente all’investire sul nostro futuro?

Ci accorgeremo in tempo di aver fatto ogni giorno una scelta che per quanto appassionante e conveniente nel momento in cui si pone in essere potrebbe rivelarsi un cancro per la nostra vita? Ricordiamo ci con un colpo di spugna non si leva neanche lo sporco dai piatti, figuriamoci gli sbagli un’esistenza.

K0

Confessione di un pagano

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Mi perdoni padre perché ho peccato. Padre? Posso chiamarla così nonostante le sia vietato di copulare e dunque di riprodursi nonostante sia un eletto del Signore? Mi scusi.

Mi perdoni padre perché ho peccato.

Proprio non riesco a concepire un Dio in grado allo stesso tempo di arrogarsi l’unicità dell’essere divino e di dichiararsi buono e comprensivo. Il divino per i miei occhi, per il mio cuore, è ovunque e non in un singolo punto lontano chissà in quale angolo di chissà quale cielo. È nella terra e nell’acqua, nell’aria e nel fuoco. E’ in ogni singola emozione che quotidianamente domina il nostro vivere e il nostro morire. E’ nella piuma sulla bilancia così come nelle leonesse e nei serpenti. È nelle nostre rinascite e nei luoghi e nei momenti compresi tra esse.

Mi perdoni Padre perché ho peccato.

Più volte ho nominato il nome del millantato Dio unico, a voler usare un eufemismo, in maniera vana. Mi scusi, ma proprio non riesco a capire il discrimine tra le creature che lo stesso dio ha creato, la differenza tra un agnello e un maiale. Scusi anche il mio sarcasmo, ma mi sembra tutto un ragionare così fanciullesco. Pensi che il mio Paese se ne prende anche cura. Credo che presto sarà disponibile in qualche comma del codice penale anche la lista degli animali concessi e di quelli sacrileghi. Per fortuna siamo stati creati a sua immagine e somiglianza. Così ogni giorno possiamo continuare ad uccidere in suo nome senza nominarlo, senza riprodurne l’immagine, senza poter scrivere il suo nome.

Mi perdoni padre perché ho peccato.

Durante il Santo Natale ho dovuto recarmi a lavoro, così come il giorno del vostro primo santo. Non parliamo poi delle domeniche. Ma come posso onorare io questo precetto se ogni domenica dell’anno persino il Papa stesso macchia la sua coscienza con il peccato di lavoro festivo? Lodiamo nostro signore di non essere ebrei e di poter dunque disonorare il sabato lavorando. È buffo come i diversi dei unici riposino in giorni diversi, non trova? Sarà questione di fuso orario?

Mi perdoni padre perché ho peccato.

Non ho onorato a sufficienza mio padre, quello vero, per tutte le cose buone che ha fatto per me e per la mia famiglia. Lo stesso faccio con mia madre, santa donna seppur non vergine. A mia discolpa posso dire che non ho rimesso loro le loro stesse colpe, ma ho cercato di accettarli e amarli per come sono.

Mi perdoni padre perché ho peccato.

Ho ucciso ogni giorno, per molti anni, la mia essenza dopo averla ridotta in catene e aver tentato di piegarla più e più volte. Si è ostinata a rinascere ogni volta come fosse un nuovo sole. Pensavo fosse una condanna ed invece è stato un miracolo. Ho spezzato le catene degli insegnamenti assoluti e categorici, catechisti direi, ed ora sono libero.

Mi perdoni padre perché ho peccato.

La natura è stata generosa con me. Scusi il mio sorriso, ma proprio non posso trattenerlo. Così come è difficile trattenere altro, soprattutto in primavera, in presenza di certe creature a dir poco angeliche.

Mi perdoni padre perché ho peccato.

Ho rubato molto nella mia vita. Sorrisi e lacrime ad esempio. Di sicuro la cancelleria, ma sfido chiunque a scagliare la famosa prima pietra. Il cibo dai piatti dei miei commensali, davanti a certe pietanze è proprio impossibile trattenersi. Indipendentemente dalla stagione in questo caso. È il quarto cerchio, vero? Probabilmente già mi attendono. Nel caso chiederò indicazioni, anche se sbircerei volentieri qua e là. Sa, Dante, mi ha fatto incuriosire parecchio.

Mi perdoni padre perché ho peccato.

Ho mentito, non tanto spesso, ma l’ho fatto. A fin di bene per lo più. La diplomazia è un’arte che padroneggio abbastanza bene e amo il quieto vivere. A mio svantaggio ho confermato accuse per non ferire o almeno per non farlo ulteriormente. Ma immagino conti poco agli occhi dell’Assoluto.

Mi perdoni padre perché ho peccato.

Ho la pessima abitudine di prendermi ciò che desidero. Proprio non riesco a farne a meno. È la mia testa, sa, mi fisso. Proprio non viene da pensare ad altro. Per fortuna le catene che tengono le schiave legate al proprio padrone si sono ridotte ad avere un solo anello d’oro. È molto più facile rubarle adesso. Le dirò, erano molto propense all’assecondare questo loro rapimento e si sono dette molto soddisfatte. Scusi il sarcasmo padre, ma capirà che nel 2020 questo precetto è quanto meno da rivedere.

Bè padre, mi perdoni, ma nel mio peccare sono stato coerente. Cerco sempre di esserlo. Ho sicuramente desiderato tutto ciò che ho rubato, oggetto o persona che sia. Mi sembra una condizione necessaria e sufficiente.

Ora che abbiamo terminato con me sa dirmi quando la sua chiesa si scuserà con me e con i miei dei per gli omicidi di massa commessi dai vostri crociati, dal tribunale della Santa Inquisizione e nell’arco delle ripetute operazioni di recruitment del vostro fan club a discapito della vita dei miei fratelli e sorelle? Mi dispiace anche per i vostri figli, di certo non suoi, nelle grinfie dei vostri sacerdoti, dei suoi colleghi insomma, ma questo non è affar mio. E poi non ho mai sentito di un girone per i pedofili, quindi al vostro ineccepibile Dio deve andar bene così.

Vorrei poterla perdonare, padre, per i suoi peccati.

K0

Maschi Vs Femmine

Twitter

Twitter è un posto magico. Un social di parole, seppur con un limite di caratteri, in cui ognuno può liberamente dire la sua. Senza metterci la faccia, né il nome. Un social di parole che nonostante tutto è pieno di tette e culi come, se non in misura maggiore, i peggiori account di Instagram. Almeno lì si vedono anche le facce. Così, qualche giorno fa, stavo scorrendo la mia home alla ricerca di un po’ di intrattenimento per uno dei pochi momenti di noia di questo periodo. Tra un paio di tette senza volto, ma attenzione: con aforismi ricchi di principi, calici sorretti tra le dita di piedi smaltati e tweet a sfondo politico mi appare questo post:

Continuo a scorrere, evidentemente immerso in altri pensieri, quando ad un tratto una vocina dentro di me: “Aspetta, ma che cazzo ho appena letto?!”. Scorro indietro alla ricerca del post, lo rileggo un paio di volte per accertarmi di aver compreso il contenuto (Italia sempre peggio per valori di analfabetismo funzionale e comprensione del testo, ma questa è un’altra storia) e inorridisco. Inorridisco non è il termine corretto perché in realtà la sensazione che provavo era più simile una soluzione di incredulità e disprezzo. “Ma siamo davvero ancora a questi livelli?”, commento tra me e me. Metto via il telefono e scendo dal tram.

Il post seppur, mi auguro, probabilmente a scopo polemico, riesce a tirare fuori il peggio nei suoi commenti. Persone senza volto esprimono il loro parere e non sempre questo pare essere datato dopo gli anni 2000 d.C. Questo fa riflettere, perché se è vero che siamo (quasi) tutti in grado di dire che questa ‘Norma sociale’ ormai è quasi del tutto superata quando siamo nel pieno delle nostre facoltà, diverso è il discorso quando siamo costretti a tornare al pensiero primitivo. Da quanto non avete un primo appuntamento? Vi ricordate, cari maschietti, l’ansia della questione? “Dovrò offrirle la cena? Devo pagare io? Le farà piacere? Se lo aspetta? O è una di quelle a cui queste cose danno fastidio? Una di quelle, come si chiamano? Ah sì, femministe. Che faccio?”. E invece voi femminucce? “Devo offrirmi di pagare? Tutto o metà? Magari lui non vuole, magari è una persona ancora attenta a queste cose. Dovrò fingere di andare in bagno e lasciare a lui la scelta?”. Che bella l’ansia del primo appuntamento, con tutto ciò che comporta.

Il concetto del “Il maschio paga” è legato ad una società ormai superata. Più che ad una società ad un’economia. Fino a qualche decennio fa le famiglie riuscivano a mantenersi con un solo stipendio di conseguenza era insensato che entrambi i genitori lavorassero. Era meglio concentrare le energie del “Genitore 2” alla cura della prole e della tana. Con il mutamento di questa condizione economica si è reso necessario che entrambi i genitori iniziassero a lavorare e a contribuire ai compiti familiari e domiciliari. Tempo e denaro sono da sempre risorse limitate e quindi da gestire con cautela. In questo contesto economico la donna ha dovuto e voluto farsi carico di un dovere una volta relegato all’uomo, il lavoro, e ha chiesto e preteso che l’uomo cominciasse ad occuparsi dei compiti una volta unicamente a lei affidati. In questa nuova società di persone in cui tutti svolgono gli stessi compiti la donna, giustamente, ha iniziato a pretendere di essere trattata alla pari dell’uomo.

Il problema è che come sempre si predica bene e si razzola male, come si suol dire. La vocina si fa largo tra i miei pensieri mentre scrivo: “Vedi di ponderare bene le parole perché qui si rischia il linciaggio, ho ancora molti moralismi da farti quindi dobbiamo sopravvivere a questo post”. Dicevo, molte volte ho assistito ad atteggiamenti di donne che mentre da un lato manifestassero, più o meno apertamente, questo desiderio di parità nei confronti dei pene-dotati, su molti atteggiamenti quotidiani invece pretendevano di essere ancora messe su un ipotetico piedistallo. Vedi la questione in oggetto. D’altra parte, per par condicio, ho anche visto donne meravigliose che invece si prendono ogni giorno, con ogni gesto, con ogni abitudine, la normale parità di cui sentono di avere pienamente diritto.

Può sembrare una cavolata, ma psicologicamente la questione è invece molto importante. La vita si decide spesso nei momenti di ansia ed insicurezza. Se nelle più piccole, ma quotidiane abitudini di ogni giorno, come può essere appunto un primo appuntamento vi fate trattare da ‘Femmine’ o ancora peggio lo pretendete, perché pensate che vi sia dovuto, come potete chiedere ad un essere semplice come un ‘Maschio’ di non etichettarvi come ‘Femmine’ e come tale cominciare a trattarvi? La parità, come ogni cosa, inizia nei piccoli gesti. Se pretendete di essere messe nelle condizioni di una ‘Femmina’ nella vita di tutti i giorni, non stupitevi se poi, dopo qualche anno, vi lasciano a casa con i bambini a fare le pulizie. La parità inizia nella donna, nel vedersi pari e nel pretendere di essere trattata come tale. Nel chiedere di uscire se qualcuno vi piace, nel dividere i conti o nell’offrire vicendevolmente, nell’aprirvi le porte, nel portarvi i bagagli (così imparate anche a metterci dentro anche meno roba, sembra di spostare sacche con cadaveri delle volte), nel pretendere il rispetto che meritate ogni giorno.

Pro tip (scusate lo slang giovanile): se dividete potete uscire il doppio!

Vi lascio, ho un’altra Santa Inquisizione da fermare, un altro medioevo da illuminare.

P.s. Uomini, tra due giorni sarà il 6 Gennaio, risparmiate alle vostre signore le battute sulla befana per cortesia. Tenetele per la suocera.

K0