Un anno (quasi) da consulente

Prova a sostituire la parola “Problema” con la parola “Opportunità” dicevano, vedrai che tutto andrà meglio dicevano.

A giugno dell’anno scorso ho avuto l’opportunità, proviamoci, di intraprendere un nuovo lavoro. L’azienda, società di consulenza in ambito informatico, fornisce soprattutto profili tecnici, ma si sta pian piano aprendo al mondo del project management. Società benefit, accademia interna, contratti a tempo indeterminato, paga non eccelsa, ma comunque di buon livello, ambiente di lavoro molto giovane, il proprietario appassionato d’arte espone parte delle proprie opere in sede quindi più che un ufficio sembra di essere in un museo. Un miraggio.

Durante il primo lockdown oltre a provare, senza successo, ad entrare nel reparto HR della suddetta azienda, avevo deciso di investire qualcosa meno di un migliaio di euro per un mini master online per l’appunto in project management, volevo provare a rimettermi in gioco in un periodo difficile.

Tramite un apposito canale e un conoscente in azienda riesco a sostenere il primo colloquio. Con la stessa persona che mi aveva cassato per la posizione nelle risorse umane. Persona che d’ora in avanti chiameremo Paolina Paperina. Dopo qualche giorno ricevo LA telefonata: “Possiamo procedere con il secondo colloquio, quello con il capoprogetto”. Capoprogetto che d’ora in avanti chiameremo Sebastian il Granchio.

Arriva il giorno, come il post covid vuole il colloquio avviene via Microsoft Teams. In riunione (ricordiamoci che il nuovo governo suggerisce vivamente di non usare inglesismi) si presentano, oltre a Paolina Paperina, Sebastian il Granchio come preannunciato e il capo del capoprogetto (probabilmente il celebre personaggio la cui auto aveva un buco nella gomma). Solite formalità, mi viene detto che di lì a poco avrebbero organizzato, qualora l’esito di questo colloquio fosse stato positivo, un incontro, sempre virtuale, con il cliente e il suo capo. A questo punto mi viene “Ufficializzato” (in precedenza avevo solo ricevuto informazioni per vie traverse) che il cliente a cui verrò assegnato non è esattamente il più docile e amabile personaggio Disney. Raccolta tutta la mia demenza senile precoce dico che la cosa non mi spaventa e faccio capire che qualche stronzo nella vita l’ho conosciuto.

Passa qualche giorno e vengo contattato nuovamente: il capo del cliente è in ferie e, una volta rientrato, andrà in ferie il cliente stesso, forse non riusciamo a organizzare nulla prima di qualche settimana. Nel frattempo la data in cui la persona che sostituirò terminerà (per sua scelta) l’incarico si avvicina. Faccio presente che essendo al momento impiegato part-time sono disposto a iniziare l’affiancamento anche prima della partenza ufficiale del contratto e che nonostante l’offerta di lavoro prevedesse un tempo indeterminato sono disponibile a partire con un determinato (nel mio cervello bacato per portare acqua al mio mulino).

Ancora qualche giorno, altra telefonata: organizziamo un incontro con il capo del cliente e poi vediamo il da farsi. Sostengo il terzo colloquio, mi viene fatto presente dal referente dell’altra azienda che non ho esperienza e vista la conclamata euforia della persona a cui verrò assegnata, da ora Scar, faccio gentilmente notare che un profilo senior non sarebbe disposto a farsi prendere a male parole da un cliente.

Altro giro, altra corsa. Vengo contattato per un quarto colloquio. A questo giro le formazioni in campo prevedono: me medesimo, Sebastian il Granchio, il capo di Scar e nell’angolo a destra signori, finalmente anche Scar in persona, anzi in schermo vista la virtualità dell’evento.

Passa ancora qualche giorno e finalmente mi viene comunicato che sono stato scelto a discapito di un altro candidato (che non saprà mai quanto è stato fortunato). Festeggio con la mia compagna non sapendo che in realtà stiamo per brindare a una nuova versione del capodanno 2020.

In tutto questo la persona che sostituirò è arrivata a cinque giorni lavorativi dalla fine del contratto quindi il mio affiancamento si limita a circa una quarantina di ore. Certo, è un lavoro nuovo, nell’IT di una realtà bancaria. Certo, per me è arabo, ma è estate e per la prima volta sto facendo una vita d’ufficio, libero alle 18 e nei weekend, pc aziendale, nuovo ufficio, è tutto bellissimo. Un miraggio nel miraggio. Ingenuo.

Settembre porta con sé un leggero calo delle temperature e un ciclone d’ansia. Le persone rientrano dalle ferie, i ritmi si elevano, tutto deve essere fatto subito e non va mai bene nulla, il mio cellulare, per la cronaca non aziendale, si riempie di telefonate di grida. Iniziano i turni 7:00-19:00, straordinari non pagati ovviamente, inizio a perdermi, a non capire più chi sono (oltre a che lavoro faccio, ma mi dicono sia normale nel settore). Comincio a non dormire, l’ansia mi consuma, sento la terra franarmi sotto i piedi e con essa le mie certezze sgretolarsi. Per la prima volta decido di andare da uno psicologo, chissà mai possa aiutarmi.

Passa qualche settimana e chiedo un colloquio con l’HR. Forse per masochismo potendo scegliere a quale membro delle risorse umane a cui rivolgermi scelgo Paola Paperina. Ci ritagliamo mezz’ora in sede. Le faccio presente la mia situazione e che ho intrapreso un percorso con uno psicologo per provare a far fronte alla situazione, ma che non so quanto reggerò. “Continua ad andare dallo psicologo e fai mindfulness”.  Torno a casa senza parole che non siano bestemmie.

Qualcuno sveglia i Greenday ed è già fine settembre. Il tempo vola quando ti prendono a pesci in faccia e ti senti annegare in una palude di sabbia ed escrementi. Decido di rivolgermi nuovamente alla mia azienda dicendo che non riesco a star dietro a tutto e che questo incarico mi sta consumando. Chiedo la possibilità di poter cambiare cliente o tipologia di lavoro, mi va bene tutto. Voglio solo tornare a dormire e togliermi quella fitta all’intestino che l’ansia mi dona ogni giorno. Una settimana dopo il mio appello mi viene detto che non c’è la possibilità di venirmi incontro al momento, ma che verrò avvisato all’aprirsi di nuove posizioni. Attaccati al cazzo non si poteva dire.

Nel mese di ottobre chiamo il capoprogetto e dico che è il caso di cercare una nuova persona perché io comincerò a cercare un nuovo lavoro e non voglio che qualcuno venga buttato in questo inferno senza affiancamento come è successo a me.

A dicembre il mondo bancario si ricorda che l’anno sta finendo e quindi bisogna chiudere i progetti. Per fortuna è una sofferenza breve visto che da metà mese non c’è più nessuno. Nel mentre, cercando lavoro, trovo su un portale un annuncio come impiegato di segreteria per la mia stessa azienda. Giusto perché mi avrebbero avvisato qualora si fossero aperte delle posizioni. Mi candido a sfregio. Sostengo qualche colloquio, ma non vengo selezionato. Ci sta, mi dico. Se non fosse che poi vengo a sapere che il criterio della selezione è stato scegliere una ragazza in base al suo bell’aspetto in quanto primo contatto con possibili clienti. Gender equality ‘sta ceppa.

Mi trascino lungo tutto gennaio cominciando a valutare di non rinnovare il contratto in scadenza a maggio. Dai che ormai manca poco.

A febbraio arriva la svolta, finalmente decido di affiliarmi a un nuovo culto: lo sticazzismo. Fa tutto schifo? Sticazzi. La mail non ti piace? Sticazzi. I dipendenti dell’azienda per cui lavori non finiscono in tempo le attività? Sticazzi. Le persone non si presentano in call nonostante abbiano accettato l’invito? Esticazzi.

Con questa nuova filosofia di vita e un colpo in testa (altrimenti non si spiega) a Scar, che decide di diventare una persona ragionevole, torno a dormire un po’ di più e a vivere un po’ meglio.

Aprile, dolce dormire. Con la visione di Jerry Scotti che mi chiede “Sei sicuro? La accendiamo?” decido di comunicare alla mia azienda che non rinnoverò il contratto. Aggiungo, tra le motivazioni, che volendomi trasferire al mare e non potendo, causa lontananza, recarmi dal cliente una volta a settimana non avrei potuto continuare a onorare gli impegni presi. Sebastian è dispiaciuto. A cascata Sebastian lo comunica a Scar che a sua volta mi chiama per comunicarmi che se il problema è il dover venire in ufficio una volta a settimana a lui non interessa perché ormai posso lavorare da qualunque luogo abbia una connessione decente.

“Ci penso” gli dico. Significherebbe firmare un contratto full time, full remote, a tempo indeterminato e poter vivere al mare. Spiego alla mia azienda che viste le nuove condizioni da parte mia c’è la volontà di rinnovare il contratto.

Passano tre settimane e il capoprogetto, non le risorse umane, mi comunica che l’azienda ha deciso che non procederà con il rinnovo. Scar si infervora e chiama i referenti aziendali, ma nulla da fare.

In questo contesto agrodolce di libertà e futura mancanza di stipendio, faccio presente che sarà il caso di trovare in fretta il mio sostituto così da poterlo formare al meglio delle mie già pessime possibilità.

Dai primi di aprile ci riduciamo alla seconda metà di maggio. Non abbiamo salvato neanche il salvabile.

Ora sono libero, ma disoccupato. Continuo a non dormire, ma per il caldo, quindi c’è speranza di poterci riuscire verso ottobre.

Morale: non è stronzo chi appare stronzo, ma rischia seriamente di esserlo chi appare docile e accogliente. Un po’ come i chihuahua.